giovedì 27 marzo 2008

Istruzione e Democrazia

Dopo che avete sottolineato, in molti commenti, che la politica vi sembra sempre più spesso incomprensibile, diventa inevitabile riflettere sulla necessità di un buon livello d'istruzione. Il brano che segue sottolinea lo stretto legame che esiste tra democrazia e istruzione. 

Leggete e commentate. Non è un brano facile, quindi, se non capite, chiedete!


I fini di un governo democratico, nel quale la nomina dei governanti è rimessa alla scelta dei governati,saranno meglio raggiunti quanto meglio da questa scelta usciranno eletti i più degni: cioè i più capaci, intellettualmente, moralmente e tecnicamente, ad assumere le funzioni di governo. Ma per ottenere ciò occorre che gli elettori abbiano di fatto capacità di scegliere, cioè di valutare i meriti e le attitudini di coloro che saranno chiamati a coprire pubblici uffici.

Il problema della democrazia si pone dunque prima di tutto come un problema di istruzione. Per far sì che gli elettori abbiano la capacità di compiere una scelta consapevole dei rappresentanti migliori è indispensabile che tutti abbiano quel minimo di istruzione elementare che possa orientarli nelle varie correnti politiche e guidarli nella valutazione dei meriti e delle competenze dei candidati; ma è soprattutto indispensabile che a tutti i cittadini siano accessibili le vie della cultura media e superiore, affinché i governanti siano veramente l'espressione più eletta di tutte le forze sociali, chiamate a raccolta da tutti i ceti.E' perciò evidente che non si ha vera democrazia là dove l'accesso all'istruzione non è garantito in misura pari a tutti i cittadini: infatti la diversa cultura determina una diversa possibilità di partecipazione alla vita politica, quindi il privilegio dell'istruzione diventa necessariamente un privilegio politico.Questo avviene appunto in quegli ordinamenti sociali in cui l'accesso alla cultura,pur essendo aperto a tutti, è possibile di fatto solo a chi disponga di mezzi privati per sostenerne le spese.Là dove le scuole costano, e può frequentarle solo chi può pagare il costo a suo carico, l'istruzione diventa di fatto un privilegio economico, che è insieme, necessariamente, un privilegio politico. Dove la scuola è solo di chi può pagarsela, finisce con l'essere di chi può pagarsela anche la partecipazione attiva alla vita politica; e attraverso il monopolio economico dell'istruzione il governo diventa il governo degli abbienti. Cittadini responsabili possono diventare, attraverso la scuola , soltanto i ricchi: i poveri sono destinati a rimanere irresponsabili sudditi. 


P.Calamandrei,Storia di dodici anni,1966

mercoledì 26 marzo 2008

I giovani e la politica

Le vostre impressioni personali sulla politica sono in massima parte confermate da un’indagine sulla condizione dei giovani adolescenti italiani realizzata da Eurispes nel 2006. La ricerca ha costruito l'Identikit dell'adolescente con un questionario rivolto a ragazzi appartenenti alla fascia di età 12-19 anni, della seconda e terza media o una delle cinque classi delle superiori. Tra le tante domande alcune indicano il rapporto che i giovani italiani hanno con la politica. Vediamo le risposte:

Quanto sei interessato alla politica?

  • poco il 33,2% 
  • per niente il 37,6%
  • abbastanza interessati  il 20,6% 
  • molto il 7,6% 


Quanto capisci della situazione politica?

  • poco o per niente il 53,7%


I politici quando parlano sono chiari?

  • poco 45%
  • per nulla 24%


Quanta fiducia nutri nei confronti della classe politica?

  • poca 41,7%
  • nessuna 29,6%

 

L'esigenza di un mondo migliore e di una società più giusta, che aveva plasmato le generazioni precedenti, è molto meno avvertita dai giovani di oggi”, ha spiegato il presidente Eurispes  Gian Maria Fara,  sottolineando come “la politica non sembra essere in grado di proporre progetti, alimentare sogni, indicare prospettive di una società migliore”.

giovedì 20 marzo 2008

Cittadino, dopo quanto?

Abbiamo studiato che uno Stato è soprattutto un popolo e che il popolo è formato dai cittadini, da coloro che hanno la cittadinanza, dovunque si trovino. Abbiamo anche studiato che molti di noi la cittadinanza l'hanno acquistata automaticamente, nascendo da un genitore italiano. Ma molti altri potranno diventare cittadini italiani a particolari condizioni. 
   Si discute molto sulle regole per far diventare cittadini italiani gli stranieri residenti in Italia. Alcuni pensano che potrebbero essere sufficienti 5 anni di residenza regolare anche per i cittadini extracomunitari in modo da integrarli più velocemente mentre altri ritengono che siano necessari tempi più lunghi affinché gli stranieri acquisiscano la lingua e si integrino con la nostra cultura. 
Voi cosa ne pensate?

Prima di rispondere, per riflettere ancora un po', vorrei che leggeste questo racconto di BERTOLT BRECHT.
L’esame per ottenere la cittadinanza 

      A Los Angeles davanti al giudice che esamina coloro che vogliono diventare cittadini degli Stati Uniti venne anche un oste italiano. Si era preparato seriamente ma a disagio per la sua ignoranza della nuova lingua durante l’esame della domanda: che cosa dice l’ottavo emendamento? rispose esitando: 1492.

Poiché la legge prescrive al richiedente la conoscenza della lingua nazionale, fu respinto. Ritornato dopo tre mesi trascorsi in ulteriori studi ma ancora a disagio per l’ignoranza della nuova lingua, gli posero la domanda: chi fu il generale che vinse nella guerra civile? La sua risposta fu: 1492.

Mandato via di nuovo e ritornato una terza volta, alla terza domanda: quanti anni dura in carica il presidente? Rispose di nuovo: 1492. Orbene il giudice, che aveva simpatia per l’uomo, capì che non poteva imparare la nuova lingua, si informò sul modo come viveva e venne a sapere: con un duro lavoro. E allora alla quarta seduta il giudice gli pose la domanda: quando fu scoperta l’America? E in base alla risposta esatta, 1492, l’uomo ottenne la cittadinanza.


[B. Brecht, Poesie, II (1934-1956), Torino, Einaudi, 2005, pp. 1062



domenica 9 marzo 2008

Una lezione attuale

Vorrei che leggeste le parole che seguono. Sono le parole che un grande giurista, Piero Calamandrei, pronunciò davanti agli studenti milanesi nel 1955. Egli ricorda ai giovani che la nostra Costituzione, per restare vitale, deve essere alimentata dalla passione politica dei giovani.

Una grande lezione, oggi più che mai attuale. Da leggere e commentare.

"La costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno metterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l'impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l'indifferenza alla politica, l'indifferentismo, che è non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani, è un po' una malattia dei giovani, l'indifferentismo. "La politica è una brutta cosa, che me ne importa della politica". Quando sento fare questo discorso mi viene sempre in mente una vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due emigranti, due contadini che traversavano l'oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l'altro stava sul ponte e si accorgeva che c'era una gran burrasca con delle onde altissime, e il piroscafo oscillava. Allora questo contadino, impaurito, domanda a un marinaio "ma siamo in pericolo?" e questo dice "se continua questo mare tra mezz'ora il bastimento affonda". Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno e dice "Beppe, Beppe, Beppe! se continua questo mare il bastimento affonda" e quello risponde "che me ne importa, l'è mica mio!". Questo è l'indifferentismo alla politica. È così bello, è così comodo, la libertà c'è, si vive in regime di libertà, c'è altro da fare che interessarsi di politica - eh lo so anch'io - il mondo è così bello, ci son tante belle cose da vedere a da godere oltre che occuparsi di politica e la politica non è una piacevole cosa però la libertà è come l'aria, ci s'accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentiti per vent'anni e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai. Ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.La Costituzione, vedete, è l'affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma è l'affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. È la carta della propria libertà, della propria dignità d'uomo. Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 6 giugno 1946. Questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare: dopo un periodo di orrori, il caos, la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi, andò a votare. Io ricordo, io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui. Queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta, perché avevano la sensazione di avere ritrovata la propria dignità: questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese. Quindi voi giovani, alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto - questa è una delle gioie della vita - rendersi conto che ognuno di noi al mondo non è solo, che siamo in più, che siamo parte di un tutto, nei limiti dell'Italia, e del mondo.Ora, vedete, io ho poco altro da dirvi. In questa costituzione di cui sentirete fare il commento nella prossime conferenze c'è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati qui, in questi articoli e, a sapere intendere dietro questi articoli, ci si sentono delle voci lontane. Quando io leggo nell'articolo 2 "L'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale", o quando leggo nell'articolo 11 "L'Italia rifiuta la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, la patria italiana in mezzo alle altre patrie", ma questo è Mazzini, questa è la voce di Mazzini! O quando io leggo nell'articolo 8 "Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge", ma questo è Cavour! O quando io leggo nell'articolo 5 "La Repubblica unica e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali", ma questo è Cattaneo! O quando nell'articolo 52 io leggo, a proposito delle forze armate "L'ordinamento delle forze armate s'informa allo spirito democratico della Repubblica, esercito di popolo", ma questo è Garibaldi! E quando leggo all'articolo 27 "Non è ammessa la pena di morte", ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani, ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no! non è una carta morta: questo è un testamento, un testamento di 100.000 morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità. Andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione."

Piero Calamandrei, Discorso agli studenti milanesi, 1955

domenica 2 marzo 2008

L'Informazione libera: come, quando e perché!

Da alcuni interventi emerge l’esigenza di una informazione libera, accompagnata dalla sensazione amara  che non ci sia.  Ma può esistere una informazione veramente libera? Secondo me il problema è mal posto. Possiamo chiederci se ci piace più il tg 4 o il tg 3, possiamo chiederci quale dei due sia più imparziale. E sicuramente le nostre preferenze, le nostre valutazioni possono essere utilmente argomentate, ma dobbiamo ricordarci che siamo nel campo delle opinioni, non delle verità.

    Detto in altre parole non dobbiamo cercare un mezzo di informazione veramente libero ed imparziale, infatti non esiste; anche se questo non vuol dire che tutti  i tg o tutti i giornali siano uguali. Quello che dobbiamo cercare è un sistema informativo complessivamente libero. 

   Non è facile però definire un sistema informativo libero. C’è un istituto di ricerca, finanziato prevalentemente con fondi governativi, situato a Washington, con l’ obiettivo di promuovere  la democrazia liberale nel mondo. Questa fornisce rapporti annuali sul livello di libertà generale e  sul livello della libertà di stampa (intesa nel senso generale libertà del sistema informativo) di tutti gli stati del mondo. Si chiama Freedom House e visitandone il sito si imparano tante cose. 

   Proviamo a definire, molto empiricamente,  alcune caratteristiche che dovrebbe avere un sistema informativo libero. Prima di tutto non dovrebbe essere sottoposto a nessun tipo di censura, né esplicita ( come in Cina, dove è la libera espressione è anche formalmente vietata), né implicita   (come in Russia, dove, anche se formalmente liberi, i giornalisti sono sottoposti ad intimidazioni e minacce). Questo però non è sufficiente perché, anche senza volerlo, la proprietà finisce per influenzare i giornalisti.  Per consentire ai cittadini di informarsi correttamente, confrontando le varie fonti, corre allora che ci sia una pluralità di televisioni, giornali, radio, ecc.. Occorre però ci sia una pluralità di proprietà: un paese può avere anche cento giornali, ma se il loro proprietario è uno solo ( o anche solo due o pochi) non può considerarsi libero. Inoltre occorre che la proprietà dei mezzi di informazione sia nota. E poi ancora  che i mezzi di informazione siano effettivamente accessibili ai cittadini: se un giornale non raggiunge le edicole, se una televisione non raggiunge le case, o anche se i cittadini non possono permettersi l’acquisto di un giornale o di un televisore, la libertà è minacciata.


rassegna stampa italiana di radio 3

rassegna stampa internazionale di radio 3